Carlo Rancati

Ricordo di un grande personaggio, uno dei pionieri della pesca a mosca italiana.

Non è facile scrivere di Carlo. Lui è stato uno dei pionieri della pesca a mosca italiana. Un innovatore, capace di guardare lontano, nel futuro.

Nato nell’anno 1931 iniziò a pescare a mosca nel 1963. Pescò ovunque in Italia e nel mondo. Contribuì alla crescita del nostro club di cui fu presidente dal 1977 al 1986. Sotto la sua guida instancabile il club visse un periodo fantastico. Più di cinquecento soci provenienti anche da fuori Milano, da altre provincie e regioni. Ideò, per questo motivo, le sezioni esterne, alcune delle quali ancora attive ed ormai autonome.

Il suo libro “A pesca a mosca con l’artificiale”, ahimè oggi quasi introvabile, è tuttora una Bibbia per neofiti. Quattro edizioni, circa dodicimila libri venduti. Un manuale semplice che spiega in modo perfetto la nostra tecnica di pesca.

Nell’anno 1973 fu promotore principale, coadiuvato da altri collaboratori, di Autodisciplina, un’associazione avanti anni luce rispetto alle idee ed ai regolamenti di pesca di quei tempi.

Fondò l’UNPEM (Unione Nazionale Pescatori A Mosca) cui dedicò gran parte dei suoi anni dal 1981 in poi, abbandonando gradualmente il nostro club.

Ha scritto numerosi articoli sia per la rivista del club Consigli di pesca sia per Caccia e Pesca, lasciando così preziose testimonianze delle sue esperienze.

Un uomo carismatico, una grande persona, un vero leader.

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Secca o bagnata?

Divagazioni “polemiche” di G. Ballarin.

La pesca a mosca secca è indubbiamente la più divertente ed appassionante: vedere la mosca che abbiamo lanciato in quel determinato punto “sospetto”, seguirla il più strettamente possibile, aguzzando lo sguardo per cogliere quell’agognato istante in cui la si vedrà “succhiata” dal pesce. Ed ecco che ad un tratto il nostro sogno si avvera: la mosca è sparita; trascorrono frazioni di secondo che sembrano minuti e poi è proprio vero, non abbiamo sognato! E ce lo dimostra la nostra lenza che si stira ed inarca a scossoni la nostra canna da pesca docile e potente! La vittoria si delinea sempre più certa e l’animo si riempie di commozione gioiosa. Tra poco la preda agognata sarà accolta, ancora palpitante, nel capiente guadino. Purtroppo, come tutte le cose belle, anche la pesca a mosca secca ha il suo lato scabroso e cioè la galleggiabilità’ dell’artificiale. Un mio vecchio amico e collega della Marina Inglese soleva spesso dirmi: “farà sicuramente denari ed oro a palate l’uomo che riuscirà ad inventare queste due cose: fare crescere i capelli ai calvi e rendere inaffondabile una mosca artificiale….”. Difatti se è relativamente facile far galleggiare un amo coperto di piume in acqua ferma, non lo è altrettanto in acque influenzate da corrente. Ne consegue che, pescando in torrente, avremo la mosca a galla se frusteremo in “UP STREAM” (da valle a monte). Appena caduta in acqua la nostra mosca si avvicinerà a noi trasportata dalla corrente e dovremo, di conseguenza, ricuperare sveltamente con la mano sinistra la lenza onde evitare che, col suo dragaggio in acqua, obblighi la mosca ad affogarsi. Non appena l’artificiale sarà passato “a valle” di noi, la sua funzione di mosca a galla sarà finita perché la velocità della corrente, tenendo tesa la lenza, lo obbligherà a sommergersi e a divenire quindi “mosca annegata”. In considerazione di quanto sopra esposto se ne deduce che:

  1. La pesca a mosca secca in torrente ci obbliga a fare molti più lanci di quelli che avremmo fatto pescando a “mosca sommersa”
  2. II percorso produttivo della mosca secca è assai inferiore di quello a “mosca sommersa”.

Intendiamo dire che con il lancio a mosca secca possiamo esplorare 10 metri utili di acqua mentre con quello a mosca annegata ne esploreremo almeno trenta. Con ciò, sia ben chiaro, che noi non ci sentiamo affatto propensi ad affermare che la mosca sommersa sia più proficua di quella a mosca secca. Sia in Inghilterra (Patria del fly fishing), come in America e Francia, si sono consumati fiumi d’inchiostro nel trattare questo argomento, con la conclusione che ogni sostenitore delle due esposte polemiche è rimasto invariabilmente convinto della giustezza della sua opinione.
A favore della mosca secca gioca il fattore che l’artificiale si presenta al pesce solo per metà e cioè la parte sommersa. Il pesce “crede” di più perché la mosca gli si presenta dissimulata a metà dal diaframma “acqua – aria”. A scapito della mosca secca c’è invece la constatazione matematica che il pesce non mangia a galla a tutte le ore. Altro fattore negativo è costituito dal tragitto utile produttivo che, nella mosca secca, è assai inferiore a quello della mosca sommersa. Parlando ora dei pregi e difetti della mosca bagnata, diremo subito che in suo favore giocano i seguenti punti:

  1. la possibilità di esercitare tale pesca durante tutte le ore del giorno e per tutto il periodo dell’anno
  2. b) il percorso utile delle mosche sommerse è di gran lunga superiore a quello della mosca a secca
  3. c) la possibilità di applicare nel finale un maggior numero di mosche aumenta le probabilità di maggiori catture.

A suo svantaggio c’è il grande handicap che le mosche sommerse vengono “ispezionate” minuziosamente dal pesce, che si decide ad afferrarle solo se esse imitano alla massima perfezione un vero insetto caduto sull’acqua o in fase di risalita, se si vuole imitare la ninfa.

Dopo quanto abbiamo sopra accennato circa i pregi ed i difetti dei due tipi di pesca, vi diremo che la preferenza da dare ad uno di essi è del tutto soggettiva e dipende anche dal temperamento e dalle caratteristiche fisiche del pescatore. Bisogna inoltre considerare che non tutte le persone sono dotate da madre natura di quelle qualità fisiche che ognuno dei due metodi richiede.
Per un miope, per esempio, sarà inutile che egli sia capace di eseguire i più classici lanci del mondo quando è certo che, non appena la sua mosca si staccherà dal cimino, egli la perderà di vista e addio soddisfazione di vedere l’abboccata….
Per il purista al cento per cento non c’è alcun dubbio: egli vi dirà che la mosca secca è il “sesto grado superiore” di tutte le pesche del mondo. Per coloro invece che non vanno tanto per il sottile e che vogliono soprattutto “fare cestino”, il passaggio dalla “secca” alla “bagnata” sarà presto fatto, non appena le attese per le “bollate” si faranno troppo lunghe. E per concludere vi diremo che, nella pesca a mosca secca, la buona riuscita dipende per il sessanta per cen­to dalla “presentazione” dell’artificiale e per il quaranta per cento dalla qualità di esso. Nella pesca a mosca annegata, il rapporto si inverte.

In ambedue i sistemi però si intromette un terzo fattore che è il più importante di tutti: la fortuna ! Nella pesca, come nella caccia, guai a colui che non ha dalla sua parte la Dea bendata!

Dicono i nostri amici meridionali: “ vuoi fare un figlio poverello? Fallo piscatore o chiappa uccello! ……”

Marzo 1970, Il Comandante Ballarin

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“Frustare” in acque ferme

Io sono convinto che verrà il giorno in cui, a forza di costatare che, in quasi tutti i torrenti, la resa della pesca a frusta avrà raggiunto un livello bassissimo, saremo costretti a praticare il nostro sport preferito su quelle acque tanto trascurate e snobbate: le cosi chiamate “acque ferme”. Gli inquinamenti e la grande proliferazione dei pescatori che, in pochi anni si sono moltiplicati per cento, sono i fattori principali della rarefazione dei salmonidi. I mezzi di locomozione a portata di tutte le tasche hanno certamente contribuito al depauperamento della nobile specie. Ai giorni nostri è ben raro catturare una trota indigena, cioè nata e vissuta nell’acqua ove è presa. La maggior parte delle nostre catture è costituita da trote seminate dai vari stabilimenti ittiogenici tramite i Consorzi Provinciali e i Comitati Regionali. Anche la vicina Jugoslavia, in altri tempi rinomata per l’enorme quantità di pesce pregiato, si è vista costretta a controllare entrata e uscita dei salmonidi, e deve solo alla sua oculatezza amministrativa se, ai giorni nostri, essa può ancora contare su di un afflusso turistico alieutico molto importante nella sua bilancia commerciale. Prepariamoci dunque a praticare una pesca a frusta, diretta alla cattura di una specie di pesce meno pregiata e, per fortuna, ancora molto numerosa; intendo parlare della pesca ai ciprinidi!

C’e un detto spagnolo che suona cosi: “En tiemqo de hambre no hay pan duro” che in lingua italiana significa “ in tempo di fame non si rifiuta il pane duro”. Questo proverbio se lo debbono mettere in testa tutti quei frustaioli che arricciano il naso al solo pensare di dover pescare con la frusta un solo pesce che non sia salmonide.

E parlando di ciprinidi a cui il primo premio di furberia spetta al cavedano, io direi che un uguale premio per la combattività spetta alla scardola. Questo simpatico ciprinide vive in acque quasi sempre ferme, ma lo si trova anche nei grandi fiumi e precisamente in quelle lanchette residue di grandi piene, ove l’acqua ristagna ed abbonda il canneto. Vive e si riproduce in quasi tutti i laghi di pianura e qui in Lombardia lo si trova in moltissime cave. E’ un pesce giocherellone e nervoso, pronto a ghermire tutto ciò che cade nell’acqua. Va in amore da maggio a tutto luglio, depone le sue uova alla base dei canneti e tra la poltiglia della vegetazione subacquea.

lo ho pescato per la prima volta le scardole proprio per puro caso. Mi trovavo col mio piroscafo in attesa di un carico di arachidi nel porto di Madras, sulla costa indiana del Malabar e un giorno, nel recarmi col taxi a vidimare i registri di bordo presso la nostra Agenzia Consolare, situata in periferia, tra il verde della campagna, notai che in un grande stagno costeggiante la strada, v’era una intensa attività tra le canne e tutta la superficie dell’acqua era costellata di bollate. È ovvio il dire che, il giorno dopo, di primo mattino, previo appuntamento col tassista, mi feci trasportare, munito di canna da mosca ed accessori, in quella località. Era uno stagno fitto di vegetazione subacquea intervallato da larghe fasce di ninfee circondate da canne palustri. Compresi subito che era difficile eseguire dei lanci, ma prima di arrendermi volli girare alla ricerca di qualche punto dello stagno più adatto al mio desiderio. Ritornai quindi in taxi e feci un giro di ricognizione lungo tutta la sponda dello stagno e finalmente decisi di fermarmi in un posto di vegetazione più rada. L’acqua era abbastanza chiara e, osservando il canneto, notai un esteso ondeggiamento di acqua e canne certamente provocato da un’enorme quantità di pesce in movimento. Per evitare che il pesce vedesse i miei movimenti, voltai le spalle allo stagno e, in tutta fretta annodai una Red Spinner, amo 14 al finale ed eseguii primo lancio, posando la mosca dove l’onda lambiva le ninfee. ln un baleno vidi la mosca succhiata da un bagliore di ventre argenteo; riuscii a malapena a domare la preda furiosa per pochi secondi; la vidi sgusciar fuori d’un balzo per  ripiombare fulminea fra le ninfee. La lenza tenera e vuota mi indicò che il pesce s’era portata via la mosca. Dalla confusione e dal tramestio che si generò in quel tratto d’acqua, capii che avevo a che fare con dei pesci in frega. Attesi quindi che tutto si calmasse, riannodai una nuova Red e spostando il lancio il più lontano possibile dalle ninfee, ripetei la posa. Questa volta la “scossa” mi trovò pronto alla risposta e ciò impedì inesorabilmente alla preda di intrufolarsi tra le ninfee. Ci fu un po’ di gazzarra, con fuggi – fuggi generale e gracidio di ranocchi e di pesci in frega, ma alla fine guadinai una bellissima scardola dalla pancia larga che forse s’avvicinava al peso di un chilo. Era la prima volta che vedevo una scardola così grossa, ed era il primo pesce non salmonide che prendevo con la frusta. Subito dopo ne presi un altro paio della stessa statura con relativa facilità, ma dovetti smettere la pesca perchè l’indiano del taxi non ne volle sapere di assistere alla cattura e minacciò di lasciarmi a piedi se avessi ancora continuato a pescare. Gli indiani sono molto religiosi e considerano sacri tutti gli animali. Ho visto coi miei occhi dei contadini indiani mettere degli stecchi tra un solco e l’altro del campo in modo da fare da ponticello di salvezza alle cavallette superstiti, dopo un furioso acquazzone che le aveva alluvionate. E pensare che quelle cavallette gli avevano quasi distrutto tutto il raccolto! Quel giorno di pesca a Madras m’insegnò che non erano soltanto i temoli e le trote che si potevano catturare con la frusta. Il mio mestiere di navigante mi diede l’opportunità di pescare scardole in diverse parti di tutto il mondo e poiché la loro cattura mi risultò sempre facile mi costruii dei finali con mosche senza ardiglione che facilitano di molto la liberazione del pesce e non recano alcuna ingiuria alle sue labbra; il divertimento è lo stesso e si evita il rimorso di uccidere del pesce che non serve.

La confezione delle mosche non ha grande importanza, perché la scardola, specie nel periodo di frega, (in Italia da Maggio a tutto Luglio) aggredisce tutto ciò che le piomba nei pressi del canneto. lo sono convinto che si comporta così perchè cerca di proteggere la sua covata dall’assalto di insetti o di girini ghiotti delle sue uova. Per il colore delle mosche ritengo più redditizie mosche di colore scuro con gambo alquanto panciuto fatto con barbe di pavone con tre giri di tinsel argento oppure oro ed hackles grigie, l’amo deve essere del nr 14. Le mosche con amo a spillo senza ardiglione si possono costruire acquistando dai negozi di pesca le apposite “barrette” in acciaio marca DUBBIED. E’ più semplice però acquistare belle e pronte le mosche a spillo ossolane, del tipo più piccolo.

ll finale da me preferito e lungo m. 2,50 e si può costruire su queste misure: cm. 50 – 30 – 30 – 20 – 20-50-50. lniziare lo spezzone dell’asola col diametro 0,45 mm e via via degradare lo spessore in maniera che l’ultimo tratto di punta risulti dello 0,16 mm oppure 0,14 mm. Questo finale vale tanto per la pesca a mosca secca quanto per la mosca bagnata. Rende di più il finale a più mosche annegate; bisogna però cominciare con sole due mosche e poi allenarsi ben bene prima di sapere stendere 5 mosche bagnate. ll mio suggerimento è quello di usare al massimo 3 mosche distanti tra di loro 50 cm.

La pesca si effettua in vicinanza dei canneti; non appena effettuato il lancio, tenere la lenza sempre tesa; la punta della canna va tenuta bassa quasi a tuffare il cimino sotto la superficie dell’acqua e, dopo qualche istante della posa, ricuperare a scossette di mano sinistra, al massimo 3 metri di lenza. Si ripete quindi il lancio e per il richiamo si può fare una strisciata a ripetizione in modo da stuzzicare la curiosità del pesce.  I lanci corti è meglio ignorarli. I lanci lunghi oltre i 10-1 2 metri rendono di più. ln ltalia i posti da Scardole sono per fortuna ancora molto numerosi. L’inizio si può notare all’epoca in cui la superficie dell’acqua si popola di quei noiosi fiocchi bianchi costituiti dai semi di pioppo. I posti di frega sono evidenziati da numerose bollicine d’aria prodotte dal movimento del pesce che strusciando sulla base delle canne, le smuove provocando l’uscita di gas. ln tale periodo si catturano degli esemplari intorno al mezzo chilo. E se per combinazione se ne attaccano due o tre di quella pezzatura, vi lascio immaginare la gazzarra !

Lo scorso anno, proprio all’inizio del periodo della frega, ho fatto provare l’emozione ad un amico socio del nostro club, un giovane abituato ad andare, almeno una volta all’anno a pescare il salmone in lslanda e in Scozia. Siamo andati sul lago di Varese e ne prendemmo e liberammo tantissime. L’amico alla fine si convinse che anche le povere scardole tirano forte sulla lenza specie se sono in due o tre. E per concludere, ad una mia richiesta circa la differenza tra i salmoni dell’lslanda e le scardole di Varese mi rispose: trovo convincente quel famoso detto spagnolo che: “En tiempo de hambre no hay pan duro”.

Aprile 1980

Il Comandante G. Ballarin

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Fausto Longhi e Mario Laudicina

Fausto è stato il nostro presidente per ben venti anni, dal 1986 fino alla fine dell’anno 2005 quando, ahimè, passò le consegne al sottoscritto, a Roberto Gozzo e a Marco Feliciani.

Ricordo con tristezza quel giorno. Ci trovammo all’ufficio postale vicino a casa sua per depositare le nuove firme sul conto. Lui, ormai anziano e con qualche problema di salute, voleva lasciare il club in mani fidate e scelse noi tre (!) che in quel periodo eravamo fra i più attivi all’interno dell’associazione.

Personaggio di altri tempi, di stampo antico, sanguigno, leale, grande pescatore, grande lavoratore. Un difetto: grande accentratore. Al fly faceva quasi tutto lui, anche le pulizie !

Sopportava con paziena gli innumerevoli scherzi che noi, irreverenti, gli facevamo. Ha gestito la nostra associazione con entusiasmo e saggezza facendo il possibile per superare le difficoltà, sempre più numerose, a partire dallo sfratto dalla storica sede di via Monte di Pietà.

Insieme a lui non posso non ricordare il suo fedele simpaticissimo assistente, il “Marietto” ovvero Mario Laudicina, altra figura storica del club. Erano sempre insieme, ovunque. Il Marietto sopportava pazientemente i mugugni del “capo”, era la sua “ombra”, la sua valvola di sfogo. Si volevano bene come due fratelli.

Abbiamo condiviso numerose giornate di pesca in Valtellina, in Austria, in Slovenia, in Valsesia ed in tanti altri posti.

Memorabile fu una gita del club da Branko in Slovenia.

Fausto e Mario hanno arricchito la schiera di personaggi del vecchio Fly dai quali ho appreso tante cose ed ai quali devo molto.

Grazie Fausto, grazie Marietto.

“Chiodino”

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Pierino Strozzi

Dialogo immaginario

“Stupore, incredulità, rabbia, tristezza. Questo ho provato quando ho appreso la notizia della tua morte, caro Piero. Mi sembra davvero impossibile che sia potuto accadere”

“E perché, cù e mena, te credevet che mi fussi immurtal per caso??”

“No, ma non ero preparato. Mi mancheranno le tue frasi dialettali, frasi spesso brevi, secche e decise che sapevano fotografare le situazioni e con le quali risolvevi qualsiasi problema. Eri un vero leader, avevi il carisma del capo!. In questi giorni di vacanza (…eh sì, dopo la cerimonia sono andato in ferie … cosa vuoi, la vita deve continuare ….the show must go on….)……”

“Te fe ben, me la ciapi no… ghe mancheria….e parla no in ingles che te se minga bun ..”

“…..spesso ripenso a tutti i giorni trascorsi insieme. Ne abbiamo fatte di uscite di pesca! Dal 1991 in poi hai praticamente condizionato la mia vita di pescatore (e non solo): Scozia per dieci anni consecutivi, Tierra del Fuego, British Columbia, Austria e tanti altri posti in Italia. Ogni volta era una festa, indipendentemente dall’esito della pesca. Sapevi tenere unito il gruppo.

Quando ti ho conosciuto, nel 1977, eri per me inarrivabile. Ti davo rispettosamente del Lei, ero uno sbarbato alle prime armi….”

“Perché adess te se diventà grand ?”

“…poi piano piano sono riuscito ad inserirmi, non senza difficoltà, nel club e la conoscenza superficiale si è trasformata nel tempo in una profonda amicizia. Però nei tuoi confronti ho sempre avuto un po’ di timore reverenziale, forse dovuto alla differenza di età….”

“Uei pirlun, te vulet dì che sun un vegiet? Va che sun anca mò bun de dat una pesada nella burella del ginocc o te preferiset un sgiafun??”

“Caro Piero, mi manchi! Ho perso un punto di riferimento importante, un amico, un padre…un maestro di vita….”

“Ueila adess piantala, te me fè una dichiarasun d’amur ? Lassa perd…..”

“….eh sì, Pierino, ti ho voluto proprio bene come un figlio, anche quando mi fregavi le fette di bacon …..”

“anca mò cun ste storia!! Va che l’era el terun del Fraschetti a ciulà la roba da mangià, minga mi!!….”

“…anche quando ti arrabbiavi perché non capivo le tue lezioni di lancio con la canna a due mani….”

“per forza!! Te set un pulaster, te sbagliet i tempi…il timing…te perteghet nò i nuss!…te capiset un c….Sun propri curius de vedè cume te se la cavet el prossim uttuber in Scozia! Va che mi pudi no vegnì ……te saret da per tì…….”

“eh si purtroppo lo so bene che non ci sarai……hai lasciato un grosso vuoto….”

“Uei cù e mena, adess basta, muchela che mi gu de fa. Devi andà a cercà i me fradei e poi anche el Paolo e l’Angel e l’Adele….. Magari chi ghè anche un bel negosi de pesca…chissà se ghè la pussibilità de fa una bella pescadina….se sa mai…..”

“Certo Piero, ti lascio, mi auguro che sia come dici tu….. Tight lines…..”

“Chiodino”

Fausto con Branko in Slovenia

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Marzo 1972 – Visita di Mr. Hardy

Storia del club:
Nel mese di marzo dell’anno 1972 il Fly ospita il Signor Jim Hardy.
Il nr. 12 trimestrale della rivista Consigli di Pesca gli dedica la copertina.
Ecco l’articolo scritto da Gugliemo Tani per testimoniare l’incontro:

“Mr. Hardy socio del Fly Angling Club

La sera del 3 marzo festa al Fly Angling Club ll signor Jim Hardy, contitolare della più importante ed antica
fabbrica inglese di articoli da pesca, è stato ospite graditissimo. Abbiamo cercato di fare le cose in modo che
il signor Hardy ricevesse una buona impressione di noi a conferma del prestigio che il Club ha da tempo
acquisito in campo nazionale. E’ stato un impegno serio e nello stesso tempo piacevole e pensiamo di essere
riusciti nel nostro intento. Il Consiglio Direttivo al completo ed alcuni graditi ospiti si sono trovati col signor Hardy in un
ristorante cittadino per un’amichevole cena. Le difficoltà di lingua sono state presto superate e si è naturalmente parlato
della pesca a mosca. Ci è stato, fra I’altro, confermato che gli sforzi che noi sosteniamo in Italia per l’affermazione di
questo sistema di pesca per vincere la diffidenza e per indurre alla costanza coloro che si avvicinano alla coda di topo,
sono del tutto sconosciuti in Inghilterra ove la stragrande maggioranza dei pescatori utilizza da sempre I’attrezzatura per
la pesca a mosca. Differente inoltre il sistema di pesca in Scozia ove si usa prevalentemente la mosca sommersa
mentre nelle altre regioni del Regno Unito la mosca secca trova prevalentemente una estesa utilizzazione.
La Hardy ha perfino scuole di pesca alla mosca a Londra, Scozia e Norvegia.
In un clima di viva cordialità, quando la cena stava avviandosi al termine, il signor Hardy è stato da me ringraziato per il
suo intervento e gli ho comunicato, a nome del Consiglio, la sua nomina a Socio Onorario del Club. All’ospite e stata
quindi consegnata la Tessera Sociale ed, in un elegante astuccio, il distintivo ed una piccola ma pur significativa targa in
oro nella quale era inciso un ringraziamento ad ” Hardy ” per I’opera da sempre svolta per lo sviluppo della
pesca a mosca. Il signor Hardy, nel dichiararsi onorato di entrare a far parte del nostro Club, ha calorosamente
ringraziato asserendo che la serata trascorsa rimarrà fra i suoi ricordi più cari.
Arrivando in Palestra per la preannunciata dimostrazione di lancio, abbiamo trovato una piacevole sorpresa.
L’affluenza dei soci ed ospiti è tata veramente superiore ad ogni aspettativa. Soddisfazione quindi per noi e
per I’ospite. Cominciamo ad essere veramente in tanti e quello che più conta pieni di entusiasmo!
ll signor Hardy, fatto segno a numerosi ” flash “, ha iniziato la sua dimostrazione accompagnata spesso
dagli applausi dei presenti. Apprezzata la sua compostezza nei lanci che se anche potenti venivano eseguiti
con assoluta naturalezza. Alcuni dei presenti hanno voluto provare,ciò che ha dato motivo al signor Hardy di ri-
volgere raccomandazioni ed utili consigli.
La serata si è chiusa nel consueto clima di serenità tipico delle nostre riunioni sociali.
Grazie ancora signor Hardy!

Marzo 1972 – Guglielmo Tani

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Angelo Gariboldi

Non c’è futuro senza il passato”

Angelo era socio , come me, della “Dora”, grande palestra per un moschista. Ci incontravamo sul fiume, ci tenevamo informati sulle acque e su come adattare le nostre tecniche alle loro sempre mutevoli condizioni. Per me, novizio di pesca a mosca, era sempre una grossa lezione che mi impartiva sulle rive del fiume, ma talora anche negli intervalli all’Osteria della Pesa a Cigliano, tempio della cucina piemontese.

Ma quei nostri incontri erano occasione per ben più generali scambi di idee sui più diversi argomenti e mi colpiva il suo senso della tradizione. Per Angelo, nulla del passato doveva essere rifiutato o dimenticato, come dimostrava l’importante biblioteca di pesca che era andato formando ed arricchendo per tutta una vita.

Ricordo quando subì il furto della macchina in cui teneva un campionario storico di mosche: era la perdita di queste che lo addolorava (ben più che quella dell’auto) e si propose di rifare la sua collezione perduta.

Non credo ci sia riuscito, ma certo ci provò: un paio di domeniche dopo il furto ci incontrammo ai “tavolini” di Mazzè e lui voleva che lo accompagnassi a cercare nei prati il “Cocchetto” con cui si facevano un tempo le camole per i temoli del suo “Ticino”.

Gli dissi che avevo fretta di andare a pescare alcune bollate ben visibili lì sotto e che le sue camole poteva ben ricostruirsele con uno dei tanti materiali più moderni che aveva nel negozio. Ma lui rispose: ” la cosa importante è conservare le tradizioni anche nelle piccole cose, perché non c’è futuro senza il passato”

E con queste parole (…che sono la sintesi della Storia come Scienza..) riassumeva tutta una filosofia di vita, la stessa che lo rese orgoglioso di celebrare i 114 anni di attività di “GARUE”.

Carlo Orombelli

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